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VANUATU – TRADIZIONE E CONTAMINAZIONE

Aggiornamento: 5 ott 2022


Nel Mar dei Coralli, nell’Oceano Pacifico, si trova la Ripablik blong Vanuatu, formata da 83 isole di cui 65 abitate. L’arcipelago è di origine vulcanica, ciò significa che il territorio è prettamente montuoso e la zona è a rischio terremoti e tsunami. Anche il clima è ballerino, ritmato dalle stagioni dei cicloni e delle piogge, per questo il periodo consigliato per visitare queste terre è durante l’estate, tra giugno e agosto, quando il clima è più mite e il rischio di tempeste e precipitazioni è minore (ma non nullo). La geologia dell’arcipelago però non è solo causa di eventi sfavorevoli, anzi, è da notare come questo abbia fatto sì che proprio qui si creasse un ecosistema unico al mondo, identificato come foresta pluviale di Vanuatu. Un paesaggio ricco di specie vegetali e animali endemiche, vale a dire specie che trovano il proprio habitat ideale unicamente in questo territorio, che popolano sia la terra che il mare.

A dominare sulla vegetazione troviamo il ceppo della palma con le sue infinite varianti. Nel regno animale, invece, prevale la famiglia dei pipistrelli con le diverse sottospecie, dalle più piccole alle più grandi, che possono raggiungere dimensioni ben superiori a quelle a cui siamo abituati. Oltre ai pipistrelli, però, tra i mammiferi che popolano l’arcipelago, bisogna annoverare l’unica specie marina erbivora al mondo, che rischia purtroppo di scomparire. Il suo nome è curioso e bizzarro quanto il suo aspetto:

il Dugongo, o dugong dugon, che è anche il più grande mammifero dell’arcipelago. Attenti però a spingervi in acqua cercando un incontro ravvicinato con questo re dei mari, perché potreste fare ben altro tipo di incontro: le zone costiere, infatti, pare siano frequentate anche dagli squali. Dalle acque cristalline passiamo ai cieli tropicali. Proprio sul monte più alto (supera i 1800 mt), il Tabwemasana, vive il maggior numero di specie avicole dell’arcipelago.


Il nome e la storia


Il termine “vanuatu” in lingua bislama* significa "terra eterna" ma, prima di ottenere questo nome, l’arcipelago era conosciuto come Nuove Ebridi. Queste isole furono scoperte dagli europei solo nel XVII sec. e gli insediamenti colonici iniziarono nel secolo successivo. Fu il capitano inglese James Cook, infatti, che durante il suo secondo viaggio in Oceania, decise di battezzare queste terre Nuove Ebridi, omaggiando le Isole Ebridi che si trovano sul versante scozzese dell’Inghilterra.

Da questo momento comincia un lungo periodo di colonizzazione per Vanuatu, che si svilupperà nella formula di condominio anglo-francese a partire dal 1906. Nel 1980, però, Vanuatu ottiene finalmente l’indipendenza, anche se contemporaneamente entrerà comunque a far parte del Commonwealth delle Nazioni e, nel 1981 delle Nazioni Unite. Nonostante l’invasione europea, la popolazione indigena ha mantenuto la supremazia e anche la propria cultura, preservandola fino ad oggi. Basti vedere i villaggi in cui vivono ancora le tribù locali, identici ai tempi antichi e nei quali si può accedere esclusivamente con il permesso di uno dei residenti del villaggio. L'unico centro urbano "moderno" si trova nella capitale Port Vila, centro portuale e commerciale dell’arcipelago.


*La lingua ufficiale locale è il bislama, lingua creola influenzata dalla commistione con l’inglese. In realtà, però nell’arcipelago sono presenti 113 lingue indigene, tutte appartenenti alle lingue austronesiane (dal greco antico: isole meridionali), ossia presenti nel territorio che si estende dal Madagascar fino all’Oceania. Anche in questo caso Vanuatu vanta un primato: la ricchezza linguistica che non ha eguali in tutto il resto del mondo, frutto di 4000 anni di storia e di contaminazioni legate alle sporadiche immigrazioni, giunte soprattutto dai paesi del Pacifico.


Una tradizione che ha attraversato tutto il pianeta


Sebbene l’arcipelago abbia subito più volte l’influenza occidentale, la cultura, la lingua, le tradizioni e i rituali locali sono ancora oggi parte integrante della vita dei ni-vanuatu (i vanuatuani). Sull’Isola di Pentecoste, per esempio, nel villaggio di Bunlap si onora il rituale del “tuffo terrestre” n’gol. Secondo la tradizione, gli uomini del villaggio ogni anno si radunano per costruire una “torre” da cui dovranno poi lanciarsi nell’ultimo giorno di celebrazione. Durante il periodo di costruzione le donne e gli uomini non possono incontrarsi, il rituale è esclusivamente maschile ed è iniziatico, ma è legato a una leggenda che vede protagonista una donna. Narra la leggenda che nel villaggio viveva un uomo che era solito trattare la propria moglie con violenza e, per quanto la donna tentasse di fuggire, ogni volta veniva raggiunta dall’uomo. Un giorno, però, la donna scappò e si arrampicò su un albero molto alto. Il marito, che l’aveva vista, la seguì ma, nel frattempo, la donna si era legata alle caviglie due liane e, appena fu raggiunta, si lanciò nel vuoto. L’uomo, vedendo che la moglie nel cadere non si era fatta male, si lanciò anche lui, ma cadde a terra perdendo la vita sul colpo. Da questa leggenda nasce il rito di iniziazione, prova di coraggio per chi sfida la gravità, sebbene ancorato dalle caviglie a due liane.

La dinamica di questo rito fa subito pensare a una somiglianza con uno degli sport più estremi praticati in tutto il mondo, il bungee jumping; e in effetti questo sport si ispira proprio al n'gol. Chissà, però, se a Bunlap è arrivata voce del successo mondiale che ha avuto il loro "tuffo terrestre"!




Fonti:

“I popoli della terra Vol. 1. Australia e Nuova Guinea” di Tom Stacey (traduzione Michele Straniero). Arnoldo Mondadori Editore. 1975.


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