LA MITICA GREAT OCEAN ROAD
Aggiornamento: 5 ott 2022
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Chi è stato in Australia, o almeno al sud, sicuramente avrà percorso almeno in parte la Great Ocean Road, un’opera avveniristica che collega le località della costa sud australiana fino a quel momento difficilmente raggiungibili. Lunga 253km, quest’opera fu costruita dai soldati sopravvissuti alla Prima Guerra che, al loro rientro, avevano così modo di lavorare, e la dedicarono a coloro che non fecero ritorno.
Decisi di andare a vedere la Great Ocean Road anche se mia sorella, che stava in Australia con il working holiday, non poteva venire con me per lavoro. Appuntamento con la guida di mattina all’alba su una strada. Mia sorella decide di accompagnarmi, per fortuna. Arrivate al punto di ritrovo la guida non c’era, mia sorella lo chiama, aveva dovuto fare una deviazione. Ora ci aspettava in un altro punto. Cominciamo a correre da una parte e dall’altra per raggiungere la guida che sembrava giocare a nascondino e acchiapparello insieme, e alla fine lo raggiungiamo. Saluto in fretta e furia mia sorella e salgo sul pulmino. Mancava da prendere su un’altra ragazza in un altro punto e poi era fatta. Le prime 2 ore di viaggio sono state abbastanza silenziose, diciamo che dormivamo tutti tranne la guida! Eravamo 10 persone, tutti sconosciuti… beh, tranne chi era venuto in coppia, tra di loro si conoscevano!

Appena sorge il sole e i colori cominciano a distinguersi, resto affascinata dal panorama. La guida, che non aveva parlato per le prime 2 ore per rispettare il sonno dei passeggeri, comincia a dare le prime informazioni sul tour che avremmo fatto quel giorno. Man mano che i passeggeri si svegliavano alzava un po’ il tono di voce. Il tempo che si svegliano tutti e già eravamo alla prima tappa, veloce. Il monumento ai caduti della Prima Guerra, che è anche il monumento alla Great Ocean Road. Il tempo di fare una foto e via, si riparte, che sennò si fa tardi, la storia del monumento ce la spiega poi lungo la strada.

Ora ero seduta davanti affianco alla guida perché la ragazza che c’era prima preferiva sedersi dietro. Così mi sono offerta per fare a cambio, secondo me era un posto privilegiato davanti perché vedevo tutto da lì ed era anche più spazioso. La guida aveva una mascotte sul cruscotto: un peluche di koala. Era proprio al centro del cruscotto e facilmente finiva nell’inquadratura delle mie foto random. Ad un tratto la guida mi guarda e me la presenta. Aveva un’aria un po’ irritata ma pensavo dipendesse dalla stanchezza, insomma anche lui si era svegliato presto. Invece mi fece capire che era proprio geloso del koala… Decido allora di scherzarci su e alla fine la guida acconsente a farmi fare tutte le foto che voglio alla sua adorata mascotte.
Continuiamo lungo la strada panoramica e poco dopo ci fermiamo per la pausa breakfast offerta da lui. Aveva portato tutto: caffè, latte, succhi, merendine, sandwiches… un sacco di roba.

Ci fermammo in un’area pick-nick che affacciava su una spiaggia per surfisti. Il panorama era indescrivibile, ma subito la nostra curiosità viene attratta da un ospite improvviso: un pappagallo bianco con un ciuffo giallo yellow-crested cockatoo, o cacatua sulphurea. La guida si raccomandò di non dargli da mangiare, e in effetti il pappagallo sembrava essere lì per farsi vedere e fotografare più che per il cibo. Tutti provammo a scattare la foto più bella, ma la guida ad un certo punto un po’ agitato ci richiama: dovevamo ripartire, avremmo visto i pappagalli nella tappa successiva ma dovevamo andare altrimenti si faceva tardi. Così risaliamo tutti sul pulmino un po’ con l’ansia e a testa bassa. Da come è cominciata questa giornata e per come si sta evolvendo sembra di essere a una corsa a tempo più che a un tour panoramico… va be’, un po’ movimentato ma almeno si anima un po’ la situazione, che qua sembrano tutti ancora addormentati!
Nei vari tragitti io continuavo a fare foto random. Con la guida al lato destro io ero seduta sul lato sinistro, praticamente lato mare… che ve lo dico a fare, un panorama incredibile, cambiava lentamente ma era sempre immenso. Ora c’era lo strapiombo, poi la sabbia e poi la vegetazione, e poi di nuovo cambiavano i colori, le rocce e tutto quello che si mostrava.
Arriviamo al Kennett River dove si trova il Koala Walk. La guida subito ci avverte di non allontanarci troppo perché tempo mezz’ora e saremmo ripartiti. In un secondo ci dice tutto quello che dovevamo sapere, ma io ovviamente mi defilo prima, curiosa di andare a vedere il parco. Tutti a comprare i semini da dare ai pappagalli che praticamente vivono grazie ai turisti, ma io decido di camminare alla ricerca dei koala nascosti sugli alberi. Cammino con la testa all’insù, ogni tanto sento qualcuno che avvista un koala eppure io non ne vedevo nessuno. Ho cominciato anche a sospettare che fingessero di vederne uno, quando finalmente ne vedo uno anch’io e da quel momento si apre un mondo, vedo tutti i koala nascosti sugli alberi! Si mimetizzano con il colore delle cortecce degli eucalipti e lì sui rami alti è difficile riconoscerli. Ma se si riesce a vedere il primo, poi si riconoscono tutti. Tronfia della mia scoperta mi aggiro ora con fare sicuro e fiero. Una delle coppie del pulmino si avvicina e mi chiede se avevo visto dei koala, io subito rispondo “YES! Look upon there! It is hard at first, but if you see one you see them all!” seguito da un sorriso incoraggiante. Forse la coppia deve aver notato la mia pronuncia maccheronica e mi chiedono di dove fossi “I’m Italian” dico, e loro mi dicono “we are Spanish”, allora io “En serio??!!” che allegria poter parlare spagnolo piuttosto che l’inglese! E così continuiamo a camminare alla ricerca dei koala insieme. Dopo averne visto qualcuno ci dedichiamo ai pappagalli. Questi erano variopinti: rosso, blu, verde, tutti i colori! Le razze presenti erano platycercus elegans e alisterus scapularis, quest’ultimo è considerato il Re dei pappagalli Australiani. La coppia spagnola aveva preso del mangime per i pappagalli e mi chiesero di scattargli delle foto con quei volatili variopinti. Poi, per ringraziarmi, mi resero il favore.
Poco dopo lei mi dice di aver visto un koala su una siepe poco distante “vai veloce, non c’è nessuno ora” mi dice sottovoce. Incuriosita mi avventuro e lo vedo: era bellissimo, sembrava un peluche, dormiva tutto accucciato su un ramo basso. Quel musetto simpatico e quegli artigli… menomale che dorme! Scatto due foto e sento la guida che richiama i passeggeri al pulmino. Corro via, arrivo per ultima, la guida mi guarda con aria di rimprovero, sorrido. Sorride anche lui, saliamo a bordo e si riparte. Sembra di essere a Giochi senza Frontiere!
Direzione foresta pluviale visto che “in Australia non abbiamo molto da vedere, abbiamo distrutto tutto quello che c’era quando siamo arrivati, abbiamo messo al bando i poveri indigeni sopravvissuti e non abbiamo monumenti secolari. L’unica cosa su cui possiamo fare business è la natura. La foresta pluviale è solo una foresta con alberi e piante, però ai turisti piace”. La guida ci accompagna per il cammino turistico della foresta, un sentiero ben tracciato con passerelle di legno nei punti più scomodi che seguono il percorso circolare. In questo la guida trovava comunque del positivo, perché "almeno così si preserva il resto della foresta". Lungo il percorso ci racconta più o meno di alcuni alberi secolari, letteralmente dei giganti, e delle specie vegetali principali che popolano la foresta. È un po’ frettoloso, quindi con passo svelto terminiamo il giro e di nuovo sul pulmino.
Ultima tappa i Twelve Apostles, i Dodici Apostoli, “che in realtà ne sono rimasti 11” precisa la guida. Canzonando un po’ la fantasia australiana nel nominare le cose, aggiunge: “erano 12 rocce che emergevano dal mare, non sapendo come chiamarle hanno pensato subito agli apostoli, un nome poco originale… ma di sicuro attrattivo. Adesso ne sono 11 però e nel tempo ne cadranno altri… come li chiameranno poi?! I 10 apostoli?!”. Quanto si divertiva la guida a prendere in giro gli australiani. Non so perché, forse aveva solo un forte senso di autoironia, ma rideva di gusto a tutte le sue battute e noi, anche se non ci faceva ridere sempre, gli reggevamo un po’ il gioco. Ormai la guida, la coppia di spagnoli e io avevamo fatto gruppo, e i tragitti nel pulmino erano più piacevoli, sembravamo un'allegra comitiva di amici. Arriviamo a destinazione e la guida ci indica le direzioni da prendere per vedere la grotta, per vedere le rocce dall’alto e per scendere in spiaggia. Ci lascia un’ora di tempo. Quando si arriva al punto panoramico, beh, sembra di volare, lo spettacolo a destra e a sinistra è unico. I colori cambiano con il passaggio delle nuvole, le onde si infrangono su quei pilastri enormi dalla base sottile, e fa un po’ effetto perché sembra quasi che davvero uno di quei massi possa cedere da un momento all’altro.
Scendendo verso la caletta, dove c’è la grotta, la parte migliore è la vista verso il mare. La caletta, infatti, è protetta da due lunghi faraglioni opposti che partono dalla spiaggia e si allungano nel mare in una specie di abbraccio. E poi, quando si scende nell’altra spiaggia, quella lunga, e si vedono i faraglioni dal basso, ci si sente così piccoli e il mare sembra così grande e potente. In effetti quello è l’oceano, e la forza con cui arrivano le onde ti fa sentire come se stessi in mare aperto su una zattera di fortuna. Da un lato le rocce a strapiombo alte che sembrano toccare il cielo, dall’altro le onde tuonanti che giungono come cavalloni giganti. I boati delle onde, il vento, i colossi di pietra... a confronto sembra di essere un lillipuziano. Toglie il fiato e anche tutte le certezze che si avevano fino a quel momento.
È ora di rientrare, la guida ci chiama dall’alto con un fischietto ultrasuono. Sul pulmino condividiamo con la guida le nostre emozioni, chissà quante volte avrà sentito i turisti come noi meravigliarsi di quei paesaggi che per lui sono così quotidiani. Però sembra divertito “in realtà non mi capita così spesso di parlare con i passeggeri. Vi devo ringraziare perché oggi mi avete tenuto compagnia e mi sono divertito. La maggior parte delle volte non mi parla nessuno, non mi chiedono niente, e per me è più faticoso”. Lungo la strada ci dice che stiamo attraversando una valle dove è probabile vedere (da lontano) i canguri. Mentre noi continuiamo a parlare, lui scruta attentamente il paesaggio e di colpo “lì guardate! Guardate lì, vedete?!”. Il tempo di guardare e a quanto pare i canguri non c’erano più. Li aveva visti solo lui… penso: mica siamo alle solite supercazzole?! Continuiamo e poco dopo di nuovo “guardate la!” ed effettivamente nella pianura tra due boschi si vedeva un branco di canguri attraversare la piana per entrare dall’altra parte del bosco. Onestamente ho visto dei punti saltellare, non si riconoscevano affatto bene da lontano, ma per le dimensioni e i salti potevano essere solo canguri.
Così, sulla fiducia, facciamo ritorno a Melbourne!
Vi racconterò di altri episodi vissuti in Australia nei prossimi articoli.